sabato 20 ottobre 2018

Poesia Scritta sul Tapis Roulant

   














Non amo
il numero cinque, e non l’ho mai sopportato.
Come i suoi multipli e sottomultipli.
È da sempre che è così, avevo 5 anni quando cominciai a capire che
non mi piacevano molte, ma molte delle cose del mondo.
E fin ora nulla ha potuto cambiare le percentuali di ciò che mi piace e di cosa no
50 e 50, per l’appunto. Anche la sua tabellina, così dedotta, così ovvia 5 10 15 20 25…
È l’unica che ricordo bene. Anzi è l’unica che non mi riesce di disimparare.
quando mancano 5 minuti all’arrivo di un treno O mentre attendo i 5 minuti di un amico in ritardo
questi mi sembrano maggiori che se
fossero 7 o addirittura venti. Se sul tapis roulant restano 15
minuti alla fine dell’allenamento, quando
sono 19  mi sembra  ne manchino
meno.







Un altro
problema è la lettera G, non vorrei annoiarvi - ma devo.
Nella mia libreria musicale è la cartella più vuota - sarà che ho trovato
Ben pochi Gershwin e fra i libri nessun altro buon Gilgamesh, Gabriel Garcia…
Non sposerò mai un Giovanni, men che meno un Girolamo!
Gennaio passa troppo velocemente e a Giugno non sono
Ancora in fiore le mie rose. (vi risparmio le mie idee sui quintetti d’archi
e le teorie su Giove se un dì di marzo la luce filtrando da un foro sulla parete
a ovest del grande tempio…)




*





E’ molto probabile che
Il mio psichiatra avrebbe avuto un’idea diversa
di queste mie avversioni, se gliene avessi mai parlato. Ma sono
convinta che sia per una strana congettura astrale; la stessa che riallinea
le orbite e fa danzare i pianeti; che sia quindi giusto così, che, anzi,
dovrebbe esserlo per tutti, un po’ come l’imperativo categorico.
Un po’ come il fatto che per quanto c’è chi lo tolleri meglio o peggio il limone è aspro comunque.
il 5 è maggiore di qualsiasi numero, la lettera G - davvero la più insulsa, la più vile.
Bandirli da abbecedari ed equazioni, certe cose non dovrebbero essere insegnate ai bambini.
Cinque rondini  che fanno o non fanno  primavera sono
sempre una conclusione banale, una frase di momento,
come lamentarsi del caldo o del Pil, con le doverose pinze -
eppure è così che finisce questa poesia. - Cinque rondini che attraversano  il cielo,
20 ottobre, 26 gradi di sole.3, 4 al massimo 5  minuti  “circa” - dopo qualcosa che la mia cultura mi
impedisce di rivelare, e una rosa di maggio giallastra, di là dalla rete metallica
del condominio popolare,
in fiore, tra i vasi di genziana.





















Scilla '83














venerdì 19 ottobre 2018

Pubblicazione On Line del Numero di Scilla Ottobre 2018 (già affisso in strada)








*Traduzione dal testo in sardo di Savina Dolores Massa:

Ero di vetro quando mi hai trovata magra come una lucertola affamata una stella spenta già al tempo della fata più cattiva mi addormentavo insudiciata dai cattivi pensieri sui vestiti il volto perduto in visioni di lenzuolo bucato mi hai guarita cantando, tu nel mese di Natale per il morto fuggito avevo una pianta spenta nella stanza più bella mi hai parlato di aranci e strade storte di olive, uccelli ladri, di una città nata per un pianto di neve nulla sapevi di me, solo che morivo stanca della vita gli occhi accecati di menzogne e follie per un anno poca cosa sembrano dodici mesi per chi resta su una sedia giorno e notte come uno spaventapasseri nato a giugno.












giovedì 18 ottobre 2018

Punto



































1

1


Malaugurato
amore, quanto io ti consacro e ti sconfiggo.
Come una peste diletta - Napoli fra i branchi e le resse
di idee, di genti; anche io non ne fui immune.
Il contagio arrivò fin qui, in questa Casanova vuota di miniere, a distanza di decenni; rischiai di infettare
anche il mio giardino di satiri e di sterlizie. Mi ammalai, mi risanò una megera greca
una mercenaria scarlatta di risa, il cui nome iniziava con Eu. Poi la memoria, la memoria…
o forse fu Massimo che dava da mangiare agli ammalati, lui di quella ditta
che serve gli ospedali, lì dove vive in Calabria, in Umbria o su una luna di Marte…
O forse un Abelardo da due soldi... O come un fuoco di ponti a Londra che raccatti i toni duttili
dell’interregno alla fine che s’avvia in un velario sepolto, su una tela rapida,
in una resistenza del sangue
o…




*



Oh, sì. Ho amato. E non c’è Catullo
E non c’è Prevert, una morta doratura di foglia
Che possano confermarlo. Beh, allora
Io sola che non esisto qui giuro e nego. Ho amato. E ho non amato.
Ma più della vita è stato vivo il mio amore. Più della poesia.



*



Vedi,
giovane delle gabbie, Antimo  ingordo di stie, di galee...
Questa spina odorosa, questa lisca di luccio – di incensi catalani - confitta 
nell’occhio della paranoia?  Il cuore? oh forse non a torto…
Il mio – psicologico, freddo alla noia, trafitto  da
un girocollo di spille che prima non m’apparteneva, mi augura fantasiose sciagure…
E tuo. Te lo restituisco. Lacrima che grida e varia il verso in un mosto di desiderio.
Ora ricordo che era solo in prestito. Prendi. Non so più che farne. Ti ringrazio per aver atteso
Così a lungo. Prendi. E’ tuo.





2





E lei,
Maestro Anonimo, adespoto, sconosciuto come la gola di Mida, a lei
cui ora rivolgo un amo in questo tempio di stracci,
O lei di fianco, tu, voi che udite dalla sponda dell’Orsa tirata a fuoco come un’arteria di Murano:<<
quanto una canzone, anche questa così povera, refrattaria, vile. Ah che la si fischi
lungo un passo di fiume suola per suola - possa bastare a rifinire una spada di rose,
una prova del nulla adornato. E quanto  Deve aver gridato
questa povera matta, Questa Aldina, questa Antonia.  Questo Garcia che
Guarda all’arena e vede i rottami dell’infinito tempo fulmineo
sistemati sugli spalti… oh vita condannata al
Senso>>



*



Si sa, un poeta nasce prima di qualsiasi parto, siamo vecchi, vecchi…
amano i ricordi di antichi tormenti.  Ma quelli come noi piantano sorgenti
di nevi perenni nel buio lucente, per vedere danzare
tre muse sopra un alfabeto di stelle.




















Scilla ‘83