
1
Bisognosi lumi ai vetri ardenti, la foschia barcolla
sopra l’acquitrino – come il piatto di una bilancia, a metà piume a metà
inchiostro. Si andava Carmine e Primo a caccia grilli, quelli grossi, con le
gambette grassocce. Poi niente, eccetto qualche sorcio. Ma si son fatti svegli,
salgono sopra i tetti dei capanni, si fingono uccelli; pigolano con le piccole
zampette, quasi pare un peccato andarli a pescare.
Oggi è domenica e la campana non
suona. Non ne ha voglia. E così stiamo stretti attorno con un foglio vuoto, fra
le mani, a cantare sottovoce, a pregare per non farci sentire. I grilli li arrostiamo
interi, scartiamo solo gli occhi, perché, si dice, gli occhi vedono anche dopo
la morte. Ben chiaro. E via con una coscia e poi l’altra, e latte di agnella
per i fiori. Qui non si piange, in definitiva. Si ride, si ride quando cola la
goccia della candela,E se la camicia
cade dal chiodo ride pure l’orecchio di Matilde, la mia complice. Siamo la
miseria. E la miseria dice – io rido – siamo la gogna della coincidenza. E
ridiamo come sassi.
Ieri il vecchio sodale Carmine ci
ha portato, per me e Zitto, il mio primofiore, una decina di pagliuzze di
cicoria, per fare come i grassi
e Zitto, per sfumacchiare negli occhi della sua
matriosca – che se avessi 30 anni di meno. Laura si chiama, ha i capelli sparsi
come le tessere dell’anagrafe comunale. Qui nessuno ha un nome che non balla. Ogni volta che Laura viene dal pesco vizzo si schioda
un boccio e cominciamo a sperare nella primavera.
2
Noi li chiamiamo grilli ma in
verità sono cavallette, altri dicono locuste. Io me le mangio e fanalino di
frenata – fine telegramma. Rino mi ha portato al camposanto – che Dio lo
benedica – ci siamo fatti un anellino con una pietruzza e una collanina fina,
sottile. Al cimitero dei caduti per la guerra. Per mettere a posto la storia di
questi due signori,
Matilde se la cava alla grande con le sue baruffe
di gazza ladra. La CAB, la Congregazione Armi e Baleniere ha tolto di mezzo tutte
le armi, anche le forbicine per le unghie per sempre, ci restano solo le mani
per farci la pace, l’amore, e la guerra. E i denti.
3
Sono nato nell’84. Mi chiamo Primo,
perché mio padre è un satiro. Sono l’ultimo di nove corolle e dopo di me
nasceva una bambina, Primula. A mama piacevano le rose e le mele. Ma questa
bambina non è mai venuta. E c’è ancora una luce accesa nel fosso, una piccola
tempesta, e non piove. E nelle mani una caterva
di piombo. Dicono che sono Pazzo. Partito. Fuori. Dentro. Ma ho messo su famiglia. E mia figlia Giulia,
dice che ho appeso in cielo una seconda luna. Non quella grande e bianca come
una perlina. Un’altra, che la vede solo lei. Matilde passa il giorno a cucire
gli abiti da vecchi sacchi di patate, e che è una perdita di ticchettii.
Arrivano qui dall’Est. Lì c’è una
bella luce pulita – dicono i pigonieri, quando cantano il riposo la sera ai
lumi roventi girati off. Un giorno prendo questa baracca sopra le mie spalle.
Un giorno, Matilde, cammini piano con Giulia nella mano e ce ne andiamo
all’Est. Ci mettiamo lì, buoni a fare cose con le patate. Le tagliamo a fettine
e Zitto ci disegna dentro. A dadi – grossi, grossi op più piccoli. O intere
come sono. O bollite e, vicino, le cosce dei grilli. E Matilde fa gli abiti per
la gente di là – All’Est si vede la tua luna, papà? Oh si all’Est si vedono le lune che i papà
hanno appeso per tutti i bambini del
mondo. Smettila di fumare negli occhi di questo fiorellino! Andiamo a trovare Muz. Muuuuzz!!!! - Dove si
sarà cacciata - benedetta agnellina –
4
E’ qui con me - dice Zitto - sibilando dallo
sterrato. Ci facciamo il bucato, c’è una vecchia lavatrice sfasciata. Zitto ha
una femmina, una matriosca piena di grazie che fa gemmare il pesco e so
pronunciare il suo nome per bene. Non fumare negli occhi di Giulia, gli hai
appeso la luna, non fare il furbo, ti fanno ancora male le mani? Vieni, fammi vedere cosa dicono,
sono due stivali.
Com’è che lo chiamate il terzo? Se fosse tuo nonno vivo - e non me la bevo
mica che è morto proprio - se ne inventerebbe una delle sue. – Di’ com’è,
allora? – Buio. Questa storia di dare i nomi. Anche per Te e Giulia, siete venuti e vi siete presentati, piccoli
come due semi di mirto. Mi pare Elia o
Elia, se è maschio o femmina, variamo per stanchezza. Sembra il nome di un
asino! Sghignazza, una teiera sbeccata. Va’ dalla tua matriosca, che è meglio,
và, sfila! E gli avevo carezzato un lucciolo per il rotto della cuffia, Zitto
ha i pastelli lunghi. Sotto il fez
turchino.
5
Ca! Carmine! Ho delle belle nuove
Matilde farà Elia, si è presentato nell’acqua, e se è maschio o femmina si
cambia per stanchezza. - Ti dico che è femmina, è sempre così: prima Zitto, poi
Giulia - piccola corolla, e poi vengono così le femmine: una dietro l’altra, come
le ghiande per i porci. Potresti mettere su una fabbrica di patate All’Est,
dove dici tu - con Matilde che cuce i sacchi per i Pigonieri. Ci portano i
sacchi delle patate. Ne hai indosso uno proprio ora!Via via! Tu e quel nome da
asinella - Dammi un paio di pagliuzze! - No, solo acqua oggi, Oggi acqua soltanto.
E non fumare negli occhi della povera gente. Bevi, bevi, è sacrosanta mi ci
gioco una croce - Non ne ho di croci. Meglio che vada. Matilde vuole dei grilli
perché le lumache gli girano la notte sottosopra nel catino.- Portale delle
lumache, allora! - Il pantano, e oltre, la luce che si infittisce – a metà
grilli, a metà lumache - i grilli buoni
per i violini d’inverno. a metà pece, a
metà amore. A metà acqua, a metà fumo. Dio solo sa se domani si accende una piccola luna.
Scilla '83
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