mercoledì 23 maggio 2018

Hospes in Scilla Frantzisca Moro - Mariga de Sos Pensamentus









troppo occupati noi
all’inseguimento dei fallimenti
si aggiusta il tiro
ma la freccia manca il bersaglio
è carenza di bilanciamento
non c’è peso
né scelta accurata di punta.
Si prosegue ugualmente
testardi
ignorando il profumo improvviso
delle mimose.
Solo poeti e pazzi visionari
dilatano il torace all’accoglienza
e sanno d’essere sempre stati
torneranno semi e poi di nuovo
ancora fiore                       frutto
Buongiorno Uomo





Troppe le ombre irrisolte
domande col lucchetto
tutto gettato in basso,
il verde degli occhi  s’annera

come il cercatore
fruga per l’oro nascosto
eternità di vita a rimestare fango
sperando
nel riscatto finale
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Per un attimo volgendo altrove  lo sguardo
sorprende  e dilania
l’insopportabile chiarezza
no, no, no
intingi le dita nel fango
e ghirigori tracciano scure scie
sulla tela vergine





Mi cherent mill’annos
pro domare sas feras meas
traballu malu, costosu
de novas , de dolos
istocados e suportados
cada caminu una pedde iscorjata
e interrata, mai irmenticata
ca est pericolosu no tennere a mente
sos mostres chi ant abitau intre tie
e como chi miras
e bides
totu sos maschingannos in sos àteros
e cumpatis
como tue ischis su pressiu
de sa pedde de s’ogru
sa nudesa de s’innosséntzia.
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Cambiare

Mi occorsero millenni
per imbrigliare le mie belve
un lavorio costoso
di eventi di dolori
inflitti e subiti
ogni cammino una pelle scuoiata
e sotterrata, mai dimenticata
che è pericoloso non ricordare
i mostri che hanno abitato te
ora che il tuo sguardo può
distinguere la moltitudine negli altri
e compatire
poiché tu sai quanto gli costerà
la pelle nuda dell’innocenza





mi scorre
in rivoli diventati alluvionali
e mentre mi dilavano
da scorie millenarie
immobile, scolpita salgemma
da chissà che mano
non muto-forma
solo levigatezza
imprigionato il lucore attende
il frantumarsi
sacrificale obbligato per divenire
luce




- potrebbe sembrare meraviglioso-
così non è
                   c’è fango di palude qui
                   talmente denso che
                   risucchia tutto
 il blu
                  non è stato possibile tendere
                  un ramo
                  o navigare una palanca
                  per afferrarne un lembo

un piccolo frammento
che fissi  negli occhi
lo splendore
per non vedere altro
             e dimenticare
le sabbie mobili ferme
al ginocchio da un’eternità




Riflessioni

Sapevo che
le spine prima o poi si decompongono
aspettando il sollievo
ho praticato un’incisione profonda
per verificarne lo stato
ché nel frattempo non è rimasta ferma
allora ho capito
non sono tutte uguali, acciaio la mia
è
 macchiata ma non è ruggine
avrei voluto emigrare
in quei paesi pieni di spezie e di colori
di sete fruscianti
oppure in un deserto tra i nomadi
una in fila nella carovana, come tanti
tra ruvida lana, cavalli berberi
odori e sapori e visi nuovi
avventura
per non sentire il dolore
la mia inossidabile amica
non mi avrebbe mai lasciato
e non c’è niente credimi
migliore di una spina
a renderti consapevole che
sei viva
per questo sono ancora qui
a spiare bacche di rusco appena nate
e i germogli sulle talee di rose
affonderò ancora le mani nella creta
pigmenti e lustri ad esaltarne le forme
(brutte copie)
testimoniano ciò che non sono
in questa dimensione chiamata vita





dopo un’eternità
l’urlo del vento
si placa

il galoppo
del mio pensiero
si frange
contro il nulla

stallone in fuga
sanguina
contro il filo spinato

si arrende

nella resa è silenzio
ora posso udire

il pianto di stelle
appena nate





dimenticata sul traliccio a muro
da mani armate
che arrese ai parassiti
emisero la sua condanna

un colpo di cesoie
trancia di netto il tronco
restano tralci appesi
in attesa

passano mesi
l’anno passa e avanza
un’altra estate
e lei
ora è in piena fioritura
non si è  accorta ancora
d’essere morta





piovono
sulle mie spalle già grevi
 pensieri
(trascino un incerto andare
chiedendomi
come resistere sino a domani)
compagni assillanti
insidiano la mente
 si trattengono spudoratamente
giocando una sarabanda infernale
un alito di vento all’improvviso
cresce
scuotendo le cime
buca il buio la luna
sino ai miei piedi
  l’argento inonda il sentiero
e accende  speranza





che non ha nulla di eterno
a dispetto della brama
incalza cronos
sulle mie mani
ore di robotaggio passate
nei ricordi
il dolore nel nascondiglio
in attesa di varchi
che puntualmente le pupille
aprono
al ripasso delle cose
nel carillon
un cerchietto di velluto
un papillon in raso
che strano, scampano alla furia
solo gli oggetti in nero
ma
rose e lisiantus disseccati
fanno troppo male
più veloce lo scarto non concede
tempo
la fiamma riduce tutto in grigio
compresa me





L’ibisco giallo è in piena fioritura
fiori doppi bordati d’arancio
piccoli soli  appesi al verde
raccolgo una manciata di fragole
più in là una  rosa

secondo il calendario è il 29 dicembre

qui dentro  i cristalli  crescono a dismisura
è cambiato qualcosa all’esterno
qui no
non basta il profumo delle fragole

ho sentito che il poeta è tornato
vestito di blu per confondersi nel cielo
non dovrei dirlo, visto che è un segreto
non desidera chiavi, non quelle che chiudono, dice
neppure io ne ho una  per il carillon
e sto tra le visioni del poeta
parole-sentiero, parole-albero
parole-ramo , che il frutto pesante piega
sino a te
puoi perderti per sempre al tocco
del dolore













2 commenti:

  1. Commossa e onorata di essere ospite del mio Poeta preferito. Grazie, grazie, meda de gratzias.

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