sabato 16 giugno 2018

Chirurgia



















































Disinfestata
imago mundi… Valico al transeo -  katana offerta,
barbugliando a ogni eco di tacco - da sempre…
Non sarò  - incido.  E mai chi retta sta. Io sola.
Fuji in lingua romanza, coltello, manico giallo di plastica. Katana katanae
in latino sì sarebbe…
I poeti fanno questo, sopratutto se ne han di tempo alla rinfusa –
santuaria cambusa. A iosa
direi e non mentirei  -  affatto. Di fatto - solo non ogni dettaglio, per slegarmi al caso
senza abbaglio. Di tacere l’impulso imput: venire a galla -  inutili tormantari della
ragione… Ho un bel coltello. Non sarebbe un auto da fè:  chirurgia sottile.
Alla maniera solita e nota, alla maniera dei poeti…
Pubblicamente. Ma
il mio nome Mishima, nemmeno in rima.
Certi lussi non potrei. Chiaro, neppure con una scintilla iniettata
in un capillare di codici binari. No. Rima  con quel che faccio, anche col pessimo. Che sia?  ...se a tal punto…  
Non stiamo ad  ascoltarli i cari detrattori,
i vari - che ho conosciuti nella pesa illogica di originale
e falsificato –  lungamente, oblunga mente...
ob torto collo.




*



Suicidio anni ottanta, pietra faustoiana  
levigata a nude mani. Febbre a novanta - cito
e invito... e qualche cosa evito anzi - a asser
sinceri - la evìto. Segue la trama setasete . Perché poi?
Che conta l’epitome aerea di mettenti gemme ideazioni…
Non sei, io. Non siamo: diamo. Dilatazione.
Dilazione.
E  
punto - imposta fissa -  bere con mezzo bicchiere
d’acqua il – non ne rivelo in nome  – Anzi, che importa a questo punto: il Semprintasca.
O ridenti Cleopatre diradarsi “al fine”  – Socrate - un colpo di bambù sulla destra. Pessima, pessima allieva –
se fossi. –  e non la causa. Alcanne a contorno d’occhi. –
La luna diurna
mira ai miei (occhi). Sgrana un tarassaco  
un filo più folto di vento.  Estate Siberiana - Qui. Suicidio alla Basho,
e un po’ alla Kerouac…  mal  riuscito –  haiku celato in chiusa vara…
de-viata. Al solito rogito orario - cinque e cinque del  mattino, il
mattino ha l’ira in bocca.










Scilla ‘83



venerdì 15 giugno 2018




















































Dolce 
reminiscenza di un tempo non - mio
sottratto furtivamente a un’urna egizia o -  chissà - rinvenuta
in un perimetro di vento perugino. Perenne desiderio e non intralci, perenni
amori e desiderio e non pentirsi. Io non ero quel fanciullo soave,
quell’insaponato viso mattinale che alla vita cerca una torcia di luna,
una lima di fuga, una lingua di piva intersa nel crescere musica -  mesto febbraio eterno.





*





Nel disappunto - ma bene il sole, 
il gelo che brilla  d'isole case rare luci, pervinca 
che arrossi le culle  vuote ancora. Un canto -  varia speranza 
viva. Io non ero il rapido avvezzo alla lunaria  
languidezza, giocoso animale di fiera.
Fiera-mente – e bene il sole
trattenevo il fanciullo sospeso sul chiuso delta del mondo.
Dispariva, come litanicamente,
il
giorno dietro un gomito
di colli, gomitolo di finestre detratte a chi sa quale futuro di imposte…
di là, di qua il familiare sbrecciare asfalto  - tedeum .
Contralto emporio di pioggia vuoto a rendere.
E il primario sbuffo d’ostro
drizzava la vista disanimata quasi quasi -  
terra fiaccamente arata. Qui… E bene il  Sole.
Non potevo quasi crederci.
Invece l’ho fatto
.
















Scilla ‘83





Nero Come La Pace



HIRO 6 - Scilla '83






































Paganini poteva farlo.
Anche Juan Carlos Rybin lo fa.
Con una riga di violino – io? Che non violino l’acino del mio intervallo.
lo dirà San Martino, la sua estate grande amica dissennata
dei poeti e di quanto mai casuali rimatori sulla via di precipitose vendemmie…

A meno che non vada tutto a rotoli e il vino perda la ragione,
per una disgrazia della ventura. Su una sola gamba come
un arlecchino. A gettare frasi sotto la pioggia dove ho perduto ogni cosa.
Con una sola zampa nell’acquitrino. Non si mettano limiti alla
provvidenziale mano di Dio provvidente. Indi rivolto il mio credo a una Geisha di Hiroshige
puntellata su una illustrazione  de “la Repubblica”. Come beve alla fonte quella vacca…



*




La mia casa
asac saca acsa – lo svago rivela l’enigma.
Ricordo: lontana. Piena di spifferi soffiati a ottavini.
E di ospiti, studenti, di amanti, amici, musicisti, di poeti…
Uno in particolare riassumeva in sé quasi tutti questi sostantivi
quasi nobiliari, se ognuno avesse tempo di imbastirsi sul torso uno
scudo gentilizio, con un filo di Moire… o di appuntarsi un memento su un torsolo di mela…
Poi ci fu una terza
una quarta una quinta  delle mie Grandi Guerre.
Evadere in un meriggio di solfeggio centellinato da un’impeccabile crescere canto arboreo…
Veniva estate alta, con i suoi crochi in fiamme, le grillare dei passanti , cieli di stazionamenti colpiti
dalla più tenera iettatura.  Intorno intorno
i
barbari
appiccavano il
fuoco.



*



Ora invoca
un mentre più costante,
un pi greco connesso alla
incognita che scegli. Ogni niente, ogni sapere, ogni niente sapere - pare a questo mirare -
ma è tanto facile giocare, ansietà di uccelli nel mio cielo di amicizia.
L’equazione svolta da un rigoroso praticante della matemagica in un istante.
Un bambino, insomma - sul dodici, tredici anni; i riccioli gli ciondolano davanti agli occhi, neri come la pace.
Invoca la vita – dice - uguale a zero – dice – e non smentisce –
E tu questo l’avresti inteso da << dov’è la bagno degli uomini?>>
Sempreterno incomprensibile - ha detto - Non era, signore, quella
straniera tecnica di vertici. Non era.
E non sarà. Può stare su una gamba
sola
quanto le
pare.














Scilla ‘83