giovedì 14 giugno 2018

La Bilancia. Un Racconto.
























1

Bisognosi lumi ai vetri ardenti, la foschia barcolla sopra l’acquitrino – come il piatto di una bilancia, a metà piume a metà inchiostro. Si andava Carmine e Primo a caccia grilli, quelli grossi, con le gambette grassocce. Poi niente, eccetto qualche sorcio. Ma si son fatti svegli, salgono sopra i tetti dei capanni, si fingono uccelli; pigolano con le piccole zampette, quasi pare un peccato andarli a pescare.


Oggi è domenica e la campana non suona. Non ne ha voglia. E così stiamo stretti attorno con un foglio vuoto, fra le mani, a cantare sottovoce, a pregare per non farci sentire. I grilli li arrostiamo interi, scartiamo solo gli occhi, perché, si dice, gli occhi vedono anche dopo la morte. Ben chiaro. E via con una coscia e poi l’altra, e latte di agnella per i fiori. Qui non si piange, in definitiva. Si ride, si ride quando cola la goccia della candela,E se  la camicia cade dal chiodo ride pure l’orecchio di Matilde, la mia complice. Siamo la miseria. E la miseria dice – io rido – siamo la gogna della coincidenza. E ridiamo come sassi.

Ieri il vecchio sodale Carmine ci ha portato, per me e Zitto, il mio primofiore, una decina di pagliuzze di cicoria, per fare come i grassi
e Zitto, per sfumacchiare negli occhi della sua matriosca – che se avessi 30 anni di meno. Laura si chiama, ha i capelli sparsi come le tessere dell’anagrafe comunale. Qui nessuno ha un nome che non balla.  Ogni volta che Laura viene dal pesco vizzo si schioda un boccio e cominciamo a sperare nella primavera.

2

Noi li chiamiamo grilli ma in verità sono cavallette, altri dicono locuste. Io me le mangio e fanalino di frenata – fine telegramma. Rino mi ha portato al camposanto – che Dio lo benedica – ci siamo fatti un anellino con una pietruzza e una collanina fina, sottile. Al cimitero dei caduti per la guerra. Per mettere a posto la storia di questi due signori,
Matilde se la cava alla grande con le sue baruffe di gazza ladra. La CAB, la Congregazione Armi e Baleniere ha tolto di mezzo tutte le armi, anche le forbicine per le unghie per sempre, ci restano solo le mani per farci la pace, l’amore, e la guerra. E i denti.

3

Sono nato nell’84. Mi chiamo Primo, perché mio padre è un satiro. Sono l’ultimo di nove corolle e dopo di me nasceva una bambina, Primula. A mama piacevano le rose e le mele. Ma questa bambina non è mai venuta. E c’è ancora una luce accesa nel fosso, una piccola tempesta, e non piove. E nelle mani una caterva  di piombo. Dicono che sono Pazzo. Partito. Fuori. Dentro.  Ma ho messo su famiglia. E mia figlia Giulia, dice che ho appeso in cielo una seconda luna. Non quella grande e bianca come una perlina. Un’altra, che la vede solo lei. Matilde passa il giorno a cucire gli abiti da vecchi sacchi di patate, e che è una perdita di ticchettii.


Arrivano qui dall’Est. Lì c’è una bella luce pulita – dicono i pigonieri, quando cantano il riposo la sera ai lumi roventi girati off. Un giorno prendo questa baracca sopra le mie spalle. Un giorno, Matilde, cammini piano con Giulia nella mano e ce ne andiamo all’Est. Ci mettiamo lì, buoni a fare cose con le patate. Le tagliamo a fettine e Zitto ci disegna dentro. A dadi – grossi, grossi op più piccoli. O intere come sono. O bollite e, vicino, le cosce dei grilli. E Matilde fa gli abiti per la gente di là – All’Est si vede la tua luna, papà?  Oh si all’Est si vedono le lune che i papà hanno appeso  per tutti i bambini del mondo. Smettila di fumare negli occhi di questo fiorellino!  Andiamo a trovare Muz. Muuuuzz!!!! - Dove si sarà cacciata - benedetta agnellina –

4

E’ qui con me - dice Zitto - sibilando dallo sterrato. Ci facciamo il bucato, c’è una vecchia lavatrice sfasciata. Zitto ha una femmina, una matriosca piena di grazie che fa gemmare il pesco e so pronunciare il suo nome per bene. Non fumare negli occhi di Giulia, gli hai appeso la luna, non fare il furbo, ti fanno ancora  male le mani? Vieni, fammi vedere cosa dicono, sono due stivali.


Com’è che lo chiamate il terzo?  Se fosse tuo nonno vivo - e non me la bevo mica che è morto proprio - se ne inventerebbe una delle sue. – Di’ com’è, allora? – Buio. Questa storia di dare i nomi. Anche per Te e Giulia,  siete venuti e vi siete presentati, piccoli come due semi di mirto.  Mi pare Elia o Elia, se è maschio o femmina, variamo per stanchezza. Sembra il nome di un asino! Sghignazza, una teiera sbeccata. Va’ dalla tua matriosca, che è meglio, và, sfila! E gli avevo carezzato un lucciolo per il rotto della cuffia, Zitto ha i pastelli lunghi.  Sotto il fez turchino.

5

Ca! Carmine! Ho delle belle nuove Matilde farà Elia, si è presentato nell’acqua, e se è maschio o femmina si cambia per stanchezza. - Ti dico che è femmina, è sempre così: prima Zitto, poi Giulia - piccola corolla, e poi vengono così le femmine: una dietro l’altra, come le ghiande per i porci. Potresti mettere su una fabbrica di patate All’Est, dove dici tu - con Matilde che cuce i sacchi per i Pigonieri. Ci portano i sacchi delle patate. Ne hai indosso uno proprio ora!Via via! Tu e quel nome da asinella - Dammi un paio di pagliuzze! - No, solo acqua oggi, Oggi acqua soltanto. E non fumare negli occhi della povera gente. Bevi, bevi, è sacrosanta mi ci gioco una croce - Non ne ho di croci. Meglio che vada. Matilde vuole dei grilli perché le lumache gli girano la notte sottosopra nel catino.- Portale delle lumache, allora! - Il pantano, e oltre, la luce che si infittisce – a metà grilli, a metà lumache -  i grilli buoni per i  violini d’inverno. a metà pece, a metà amore. A metà acqua, a metà fumo. Dio solo sa se domani si  accende una piccola luna.


Scilla '83





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