Dolce
reminiscenza di un tempo non - mio
sottratto
furtivamente a un’urna egizia o - chissà
- rinvenuta
in
un perimetro di vento perugino. Perenne desiderio e non intralci, perenni
amori
e desiderio e non pentirsi. Io non ero quel fanciullo soave,
quell’insaponato
viso mattinale che alla vita cerca una torcia di luna,
una
lima di fuga, una lingua di piva intersa nel crescere musica - mesto febbraio eterno.
*
Nel
disappunto - ma bene il sole,
il gelo che brilla d'isole case rare luci, pervinca
che
arrossi le culle vuote ancora. Un canto - varia speranza
viva. Io
non ero il rapido avvezzo alla lunaria
languidezza, giocoso animale di fiera.
Fiera-mente
– e bene il sole
trattenevo
il fanciullo sospeso sul chiuso delta del mondo.
Dispariva,
come litanicamente,
il
giorno
dietro un gomito
di
colli, gomitolo di finestre detratte a chi sa quale futuro di imposte…
di
là, di qua il familiare sbrecciare asfalto - tedeum .
Contralto
emporio di pioggia vuoto a rendere.
E
il primario sbuffo d’ostro
drizzava
la vista disanimata quasi quasi -
terra
fiaccamente arata. Qui… E bene il Sole.
Non
potevo quasi crederci.
Invece
l’ho fatto
Sì.
Scilla ‘83
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