A
nordest, a
nordest o più avanti,
verso
la città del niente,
con
questa pettegola impronta
che
non può fare a meno di cullare in una stretta
d’aria
alla gola. Esiste una città così? Esiste? Davvero? Sì?
Colline
come mucchietti di braci. Tommaso Moro lo sapeva,
Lo
sapeva Bukowski. Anche se non hanno mai voluto trasferircisi.
Lo
sapevano e lo sanno in molti. Verso la luna di Ofelia, verso guerre,
terre
finite in bugigattoli di barbiere. Versi
– biancheria, corredo a
una
partenza d’estate. Parziale, “tentativa” – marziale - ricordando avanzate militari,
vacanza-speranza,
in una straordinaria accezione – entrambe. Ufficiali, feriali, sospesi a
mezze
vie - sale e risa. A nordest. Solitaria pelle
d'oca di polveri - livori spezzati, tagliando
il
corso del tempo povero. Intagli, intarsi, solchi - in poesia
si chiamano lacerazioni, ecchimosi. Angeliche
o bestiali – siano.
Siano.
Oh, sempiterne. Oh,
infette.
Anche
perché non c’è modo di tirarsi fuori dal
baule
del prestigiatore.
Dico
bene?
*
La
bella estate fissata,
anzi
prefissata - al punto mediana
di
un turbine.
Sirena-estate
alle forbici d’oro di una Parca di
congiuntura. Studi classici,
rastremati.
Mentre il poeta – che qui non è, non esiste – s’abbranca sulla
sua
sagoma d’ombra - esserci di sabbia – di quei sofferti illusionismi…
Su
una seggiola - lente ottica – non sbatte una palpebra, anzi il suo sangue s’accende al buio.
O
meglio, per la precisione - una lacera sdraio di tessuto, una spiaggia solatia,
in
un meriggio di luglio con - il misterioso enigma
irrisolvibile - l’unico
poeta nel raggio di nove ombrelloni.
Neppure
un pelo della barba,
uno
spiffero
di flauto dolce. Convalidano
gli
occhi la quinta – per la comune invadenza.
Dicci
cos’è. Diccelo. Bega nella panna del sole, a nordest! Veloci.
Estate,
bell’estate, bell’amore disperato…
L’arenile
un giardino di piani specchianti.
Ignudo
oceano.
Scilla ‘83
Nessun commento:
Posta un commento