Quando
uscirai dai miei versi – santodio…
Benedetto
giovane antiquario, cupido Cupido irradicato nei miei occhi.
D’accoglierlo
quale ospite caro? A mala pena ho una
quartina
E
dici sillabe e dici stelle e dieci tramonti…
Quel
che ci vorrebbe è un bravo che mettesse una toppa di stracci
a
quella fessura di finestra. Filtra luce – gialla infetta – ma pur sempre luce…
*
Quando
bene tacere. Sia il nero, sia - intatto amabile
invito.
E
allora sarò muto come dieci specchi, dieci calendari,
dieci
onde, dieci tese di cappello. Ogni luce il suo corredo di anamnesi di profumi,
spine,
pollini che richiamano api di plagio. Ogni luce è una rosa. Mistero costretto al
sangue
senza sorgenti. Ma io so che non esisti.
E anche tu lo sai.
Mi
costerà il pensiero - all'incirca il
settanta percento - la vita buona, il grumo
sparito del mio Risorgimento
Fattisi
lima di polvere e rotta d’organi siderali - via dalla rima.
Intimo
infimo ultimo genio d’amore. Questa è la
mia estate di San Martino,
mia
-
dura
l’allegria del vino.
Non
ne bevo da molto – e sui rottami di qualcosa
volante
e non identificato, le tue polveri di bambino disabitato.
Io
forse ho amato un fulvo diaframma
d’argento.
Scilla
‘83
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