Poet-a-stro.
Scrivere,
ma in realtà non avevo proprio niente
da
dire. Meditazioni su universi enterici:
chi
si interessa di pietre - di camposanti - papaveri e venti…
flatulenze
e candide, accomodati a stuzzicarsi i denti - occhi estranei -
dopo
un discinto rinfresco alla carta, cucina con ampia vista sull’apocalisse delle
13 e venti.
Poeta
poetae - Ah, siamo seri! È un’altra cosa. Hiroshige?
Kandiski?
Cosmo colmo - a carica invertita –
nemmeno.
*
Una
volta l’ho intravisto un poeta. Mentre
tentava
di abbrancare lettere aeree - brevi sorsi delle dita, un tossico o forse un illusionista.
La
poesia non si scrive. Si danza. O bere
come una serpe a un catino di zinco
in
cui una goccia alla volta - un rigagnolo rosa. Nel cielo di neve a scontare la propria
piccolezza.
Con
l’immodestia di una gòmena d’idee Puntata a una battaglia di nubi genovesi.
Uno
dei tanti, di quei tre o quattro morti
o
ancora
in
vita…
*
Lui,
l’abbranca sillabe – l’arraffa idee, senza affitti di sabbia
a
clessidre fra le pagine. La sera si rintanava a casa dei vicini per i cabaret
vistosi
di suoni, di danze; parole vestite a lutto.
Alla
domanda: son forse un poeta? No certo. Indovina indovinello...
Non
lui, non lui. Il mio Enigma. È forse
il mio alterego o la nemesi del mio argento annerito che scrive
e
incide il proprio nulla
su
stèli d’oro, cambiali di
fango.
Scilla ‘83
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