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Trinità Scalza - S'83 |
Ultimo
giorno nel più dolce degli
inferni.
Premurosi
all’uscita, aspettano - con il sigaro spento,
per
salutarmi - a meno ch’io non scelga l’uscita posteriore.
Fra
i trabiccoli della spazzatura e un fontanile spento e
un
tubo di gomma – serpente involto per le camelie della mattina, quando il sole
non brucia
incensi
sulle merlature del limite esterno sulle pietre e le lucertole, sofferti
ibischi
e
castità del pensiero che aleggia su lame di farfalle bianche…
Due
abiti vuoti, due guanti di raso preziosi - germogliano
di
primavere antichissime come
suoni e danze
e ritmi da arterie di oricalco
e di braci.
E parlano in latino e pregano
ch’io non ritorni – torna quando
vuoi, questa è casa tua…
a benedire la loro prole - con una
spilla
da balia fra i denti - una
ciascuno.
*
A
sud, stando, attento a non calpestare i palmipedoni…
E
il bandolo del – eat
me – ruggine - sciabole di luce - la punizioni dei santi
Foglie
nuove e morte, e d’erba e di fiore, di ostie porporine – sorci in fuga su
lingue recise
da
specchi di cesoie. Le giovani anime salve, nel covo di Scilla, per rinsaldare
foglie
nuove, le foglie morte, le foglie d’erbe e di fiori.
Verso
salmi di erbacce di ossidazioni, di pugnali-nuvole, di rabbia e d’inganni…
Con
le luci di campo di una civilissima guerra prima e ultima e seconda.
Lungo una stretta strada
volante, fra i sempreverdi allineati della mia anamnesi, ad libitum.
Meet me
in the always…
*
Post
Scriptum
La
felicità è un verme, oh luna di giugno -
nel
cervello, matura giovane - piccola operaia -
mela
succosa – mangia, mangia - scava con i
piccoli
denti di verme. Fino all’idea più sottile, fino al colosso di rodi,
linea
di grandi amori smantellati…
si
fa la sua tana sconfinata, e rispende, risplende –
Oh
sì - come una cima di stelle gemelle - e il primo africo è sull’erbe.
E
brilla la notte nella notte. E brilla
la
notte nella
Notte.
Scilla ‘83
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