venerdì 6 luglio 2018

Apologia dei miei piedi usati



































All'imperativo o desiderio - modo
di intraducibile saudade... greca di Rio in maschere,
fernweh  o inclinazione di specchi - ottativo e infinito di....
quando mi prendesti fra le mani i piedi uniti
e li annusasti freddi e forse avevano il loro odore -
di mare - dicesti - come l'odore degli zingari in quel canto progressivo.

Poi baciasti lo spazio tra un alluce e l'altro, sfiorando un po'
uno un po'  l'altro, con le labbra tiepide di fumo
appena spento.





*




Io
ricordo, amore, il profumo
di quel paio di fossili rossi che usavi
per prendere a calci il balzo di palla della luna. Scarpe?
Io dico che sono la preistoria del nostro inverno
e che questo non è il magnificat, un vago idolo di ritmo.
Ma il suono di un flauto elementare: segue a fissare nelle
orecchie, come a un
muro, scarpe chiodate a un
chiodo di futuro, per raccontare l’immensa storia delle galassie, anche se non prevede
tutto esattamente.





*





Dire che quella era una specie
di eternità. Non so  Ma l'eternità si sconta
vivendo, e si predetermina, come si paga l'affitto
per una camera buia, dove ci si pesta i piedi a vicenda,
in un ballo muto, a maschere posate - danze distanza - sopra le braci dell'ultimo 
fuorigioco di versi.




























Scilla'83








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