mercoledì 30 maggio 2018

Alzheimer – Scilla ‘83




















Deserto. Rumore bianco.
Abbottonato fino al mento.




Non mento se dico: orrore. Raccapriccio.  Orrore…
panico nel vedere una ciotola di frutti diroccata su un ripiano nitido – marmo chiaro.
Limoni. Tre o quattro prugne mature, una mela nera, un sacchetto di fichi seccati.
Mia madre morta, prende da lì,  addenta fino alla favola di Adamo ed Eva.
È una banana, il gatto le carrucola fra i gambaletti di camoscio.
Estivi.  Nemmeno una traccia di calembour rimane della buccia, pare voler mangiare anche quella
<<da quand’è che non vai a  fare quelle lunghe, lunghe passeggiate in auto?>>


*


Ma la domanda era un’altra. La domanda era
una di quelle che finisce con un punto fermo.
Sapere chi la fa a chi o se è solo una  delle città invisibili.
Fantasia – storia infinita. Assonnato orco abbrancare d’ombre
ebrietà di macellerie solitarie, sedie annullate. Del caffè.
E della ruggine. E
un pugno di ciliegie.
Vuoi questo vento di gennaio.
E’ morta:




ne sei sicuro? È lei? Tua madre?
Ha il collo così lungo rispetto a come lo ricordavi, il sorriso così
enigmatico, è così grassa, Così haitiana, così granitica, così acrilica,
talmente bronzea, scolpita, pietosa… È tua sorella. La tua ex moglie,
il ferrovecchio che si è intrufolato in casa per rubare i chiodi dei quadri
appesi. È Frida Kahlo. È tua figlia, sulle tue ginocchia che dondola,
dondola… E pilucca una banana e ti chiede del succo di mela: non ricorda il sapore
dell’acqua nel catino di zinco Che inevitabilmente si finiva per  assaggiare,
e qualche petalo di rosa finiva per accentare male le parole per un giorno intero.




Quindi.

“Melpomène”
È così che dovrei
chiamarti.



*


Altri 
versi  senz'aria, presi alla rinfusa da un libro di 
Charles Simic.  Le mie stelle sono complici di ultraterrena 
noncuranza: Rimodellato per il mio amaro in bocca. E come i poeti servo la cena 
quando già s’è freddata. Come l’azzardo non punto mai su me stesso. Buon appetito,
spettro. Caccia alla volpe.  Tempi duri.  Gli scassinatori non lasciano
traccia, e i bacchi di faggio dei vecchi vacillano più del dovuto, l’ho notato.
Quanto alla filosofia: sempre la stessa cosa da dire: Pornografia, punto; un cane che cerca di arrampicarsi 



su un liscio tronco di pioppo. Ecco tutto.
La solita eiaculazione pubblica, 
fissata settimanalmente, salvo deroghe. Salvo l’azzardo silenzioso 
di una riva.







PoemScilla ‘83







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