sabato 2 giugno 2018

No Post







Una al giorno.
Per un corretto regime alimentare.
Tornano all’accusa del pianto che non piango
molti elementi di culle basilari, dolori aperti - garofani
su ogni fibra della seta di sera che avviene e si strappa all’uso d’imbarchi di pioggia,
di guerra fertile, terra che lascio ogni giorno per sempre: Amore.
Se mi ascoltassi pronunciare questa strana, strana parola
diresti che la mia voce è simile al tamburellare della pioggia su una lamina di latta, se mi ascoltassi
gridarla diresti: più fiato! <<Cos’è, il gatto t’ha mangiato la lingua>> diresti
se vibratile di gemme e inassoluto e assolto il mio tacere di ostinato gabbiere.


*


Passati giorni ufficiali, scenari di tendaggi  fra       
ntu_ mati dalla muffa e dalla luce. Per farina una farina di tufo,
con cardi di pugnali, l’odio non mi incida nuove impronte sulle dita.
il pane, come non ho mai fatto, e per anni, da sempre.
Spezzarlo in un vino d’abbandoni, come i vecchi nei miei patii;
il perno del patto di terra ch’io non ho arato fin troppo. Mai darò un morso, un sorso, un rapido gioco
di profumi alla mia solitaria amnistia. Perché sopra ogni cosa veglia questo pagano digiuno.


*



Soste a fare super – passati intimi di inguini lacerati.
qui dove salto a un insegna di fuoco che è la poesia,
e non ha la facile logica - limo a cui il cuore perde l’ aggancio d’arancio
di un nuovo sole d’estate. il rituale di pietra –  del chermes vivo, del tetro fervore leccato.
Non ho più. E forse è Amore. Io sono un timbro di nullo, sono come un timbro, sì.
Mi fa quasi ridere che io possa paragonarmi a un timbro, a uno stampino, e non a un albatro infernale.
Su ogni breve o eterna cosa che mi abbranca, m’agguanta, m’arraffa -



NULLO
NULLO
NULLO



Nullo.  Anche su questa poesia. O… Però… 
diamine, questa non è una poesia! Quasi lo dimenticavo!
Cosa credevi? Che fossi un poeta -  io? Facile il gioco sarebbe…
Non è fatta di versi. Ha una buccia, ha una bianca polpa. Cos’è, questa poesia?
è una mela verdissima. E su una mela proprio non ho il
coraggio di apporre alcuna etichetta

neppure un titolo. Che se ne fa una mela di un titolo!
O di un timbro di Nullo. Non sono poeta, io coltivo mele.
E quando finta, la mangerò, per il panico d’infinito che
il <<noi>> ha sbriciolato in un piatto di illusionismi. Una specie di tè sul soffitto,
se sai a cosa mi riferisco. Un infattibile genericità, vaniloquio, pasticcini.
Presto sarà matura, e come ho detto la mangerò, compreso il torsolo, la digestione farà al mio posto il resto.
Forse le mancano appena due minuti, perché sia pronta.
In poesia
accadono strane, veloci
Magie.








Poem.GraficScilla ‘83



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