Una
al giorno.
Per
un corretto regime alimentare.
Tornano
all’accusa del pianto che non piango
molti
elementi di culle basilari, dolori aperti - garofani
su
ogni fibra della seta di sera che avviene e si strappa all’uso d’imbarchi di
pioggia,
di
guerra fertile, terra che lascio ogni giorno per sempre: Amore.
Se
mi ascoltassi pronunciare questa strana, strana parola
diresti
che la mia voce è simile al tamburellare della pioggia su una lamina di latta,
se mi ascoltassi
gridarla
diresti: più fiato! <<Cos’è, il gatto t’ha mangiato la lingua>>
diresti
se
vibratile di gemme e inassoluto e assolto il mio tacere di ostinato gabbiere.
*
Passati
giorni ufficiali, scenari di tendaggi fra
ntu_
mati dalla muffa e dalla luce. Per farina una farina di tufo,
con
cardi di pugnali, l’odio non mi incida nuove impronte sulle dita.
il
pane, come non ho mai fatto, e per anni, da sempre.
Spezzarlo
in un vino d’abbandoni, come i vecchi nei miei patii;
il
perno del patto di terra ch’io non ho arato fin troppo. Mai darò un morso, un
sorso, un rapido gioco
di
profumi alla mia solitaria amnistia. Perché sopra ogni cosa veglia questo
pagano digiuno.
*
Soste
a fare super – passati intimi di inguini lacerati.
qui
dove salto a un insegna di fuoco che è la poesia,
e
non ha la facile logica - limo a cui il cuore perde l’ aggancio d’arancio
di
un nuovo sole d’estate. il rituale di pietra – del chermes vivo, del tetro fervore leccato.
Non
ho più. E forse è Amore. Io sono un timbro di nullo, sono come un timbro, sì.
Mi
fa quasi ridere che io possa paragonarmi a un timbro, a uno stampino, e non a
un albatro infernale.
Su
ogni breve o eterna cosa che mi abbranca, m’agguanta, m’arraffa -
NULLO
NULLO
NULLO
Nullo. Anche su questa poesia. O… Però…
diamine,
questa non
è
una poesia! Quasi lo dimenticavo!
Cosa
credevi? Che fossi un poeta - io? Facile
il gioco sarebbe…
Non
è fatta di versi. Ha una buccia, ha una bianca polpa. Cos’è, questa poesia?
è
una mela verdissima. E su una mela proprio non ho il
coraggio
di apporre alcuna etichetta
neppure
un titolo. Che se ne fa una mela di un titolo!
O
di un timbro di Nullo. Non sono poeta, io coltivo mele.
E
quando finta, la mangerò, per il panico d’infinito che
il
<<noi>> ha sbriciolato in un piatto di illusionismi. Una specie di
tè sul soffitto,
se
sai a cosa mi riferisco. Un infattibile genericità, vaniloquio, pasticcini.
Presto
sarà matura, e come ho detto la mangerò, compreso il torsolo, la digestione
farà al mio posto il resto.
Forse
le mancano appena due minuti, perché sia pronta.
In
poesia
accadono
strane, veloci
Magie.
Poem.GraficScilla ‘83
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